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Etica, nel mondo della politica ma soprattutto nell’universo della giustizia, è una parola complicata da maneggiare e lo è ancora di più se l’etica la si affianca alla parola legalità. In Italia, l’etica della legalità è un’espressione solo apparentemente innocua e gioiosamente ovattata. Dietro questa formula si nasconde infatti un concetto pericoloso e del tutto arbitrario fatto proprio da quella parte di paese che per molto tempo ha sognato (e sogna ancora oggi) una sorta di via giudiziaria al socialismo: l’Italia del moralismo. Da questo punto di vista, il rapporto incestuoso tra etica e legalità ha portato, nel nostro paese, alla nascita di un fenomeno unico in Europa che chi ha dimestichezza con il mondo della politica e della giustizia non farà fatica a riconoscere: la trasformazione di una parte della magistratura in una grande forza dedita non soltanto a perseguire tutto ciò che è illegale ma anche a rincorrere tutto ciò che è immorale. Se in Italia la legalità non è un concetto neutro, depurato cioè da una qualsiasi veste ideologica, lo si deve proprio al fatto che esiste una forte e strutturata classe dirigente che nel nostro paese ha delegato alla magistratura il compito di occuparsi non solo dei reati ma anche dei fenomeni. E per fare questo ha permesso a giudici e pm di avere un potere discrezionale molto forte, supremo, totalitario. L’affermarsi dell’etica della legalità, concetto fumoso ma non per questo volatile, ha avuto anche l’effetto non secondario, soprattutto negli anni a cavallo tra la prima e la seconda repubblica, ai tempi di tangentopoli, di trasformare il potere giudiziario in una forza intoccabile, identificato, per le ragioni che abbiamo detto, come un’infallibile macchina da guerra a servizio non solo del rispetto della legge ma anche del rispetto dell’etica. E in virtù di questo grande equivoco, da anni assistiamo a un paradosso clamoroso, che ha portato i professionisti del moralismo ad essere così accreditati nel ruolo di custodi della morale da sentirsi legittimati a utilizzare ogni mezzo possibile pur di smascherare l’immoralità. Anche quelli al limite della legalità. L’esempio più clamoroso di illegalità combattuta con strumenti di dubbia legalità, o se volete di dubbia etica della legalità, coincide con l’utilizzo scellerato che in Italia si fa delle intercettazioni telefoniche. E basta leggere in un qualsiasi giorno i contenuti delle registrazioni telefoniche in un qualsiasi giornale e su un qualsiasi tema per rendersi conto che le costanti violazioni delle privacy dei cittadini non indagati sono legittimate da una norma non scritta del nostro paese: la necessità per molti magistrati di essere custodi non solo della legge ma anche e più semplicemente del moralismo. Se questa è etica, vedete voi.