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di STEFANO EPIFANI
Docente dell’Università La Sapienza di Roma
di STEFANO EPIFANI
Docente dell’Università La Sapienza di Roma
Quando la tecnologia dell’informazione entra nelle cose, di solito, le cambia nel profondo. E cambiando le cose cambia il modo in cui ci relazioniamo con esse, sino ad arrivare a cambiare la società, i suoi costumi, le relazioni tra le persone. Sviluppa nuovi orizzonti, dischiude nuove opportunità, talvolta pone nuovi problemi. Succede anche nella Pubblica Amministrazione. E così come l’e-Government sta cambiando (nel nostro Paese, per la verità, poco e male) il modo in cui l’amministrazione gestisce i suoi processi ed i servizi erogati al cittadino, l’Open Government promette di cambiare alla radice il modo in cui cittadino ed amministrazione entrano in relazione

 

Open Government: di che si tratta?

Il concetto è molto semplice: tutte le attività dei governi e delle amministrazioni dello Stato devono essere “aperte” e disponibili al cittadino, per favorire azioni efficaci e garantire un controllo pubblico sull’operato. Una vera rivoluzione che vede il cittadino passare da “suddito” a “partner” di una Amministrazione con la quale collaborare per il raggiungimento di un obiettivo condiviso: il bene comune. Una rivoluzione resa possibile dallo sviluppo delle tecnologie, che consentono alle Amministrazioni di “aprirsi” alla collaborazione dei cittadini ed allo sviluppo di processi di partecipazione reale ed efficace.

Open Data: la strada verso l’Open Government

Benché la dottrina dell’Open Government abbia radici antiche, a riportare in auge il modello è stato Barack Obama, che nel 2009 – tra i primi atti del suo Governo – ha emanato una direttiva volta ad obbligare le Amministrazioni a “liberare” i dati di cui erano in possesso per metterli a disposizione della Comunità. Un cambiamento epocale, quello dell’apertura dei dati pubblici. Ma soprattutto un cambiamento necessario per abilitare reali processi di partecipazione. Perché, è evidente, non si può prendere parte alle scelte dell’Amministrazione se non si hanno a disposizione i dati sulla base dei quali decidere.

L’Open Data come volano di sviluppo

L’apertura dei dati e le politiche definite di “Open Data” rappresentano il primo, indispensabile passo per arrivare a forme di Governo Aperto.

Ma non solo. Aprire i dati non consente solo di controllare l’operato della PA (cosa che già basterebbe a giustificare l’azione). Consente anche di renderli vivi ed utili. Consente a tutti di utilizzarli, magari in forme non previste quando il dato è stato raccolto, o con obiettivi diversi da quelli che ne hanno portato alla realizzazione. Permette alle aziende di costruire – su questi dati – servizi nuovi per il cittadino, che siano di pubblica utilità e che creino nuovi posti di lavoro. La conoscenza rappresenta il carburante dell’economia di questo nuovo e difficile millennio: il dato pubblico è, in tal senso, una tessera fondamentale.

La situazione italiana

Sono molti i paesi nei quali la disponibilità di dati pubblici da una parte sta contribuendo allo sviluppo di un nuovo senso di cittadinanza, dall’altra sta consentendo alle aziende di lanciare nuovi business ed ai cittadini di usufruire di servizi migliori. E in Italia? Solo da poco si parla davvero di Open Government, e spesso lo si fa più perché oggi è un termine che va di moda che non perché lo si pratichi davvero. Ma se si guarda alle cronache dell’attualità politica, è immediato constatare come molti degli scandali di questi mesi si sarebbero potuti in larga parte evitare ricorrendovi. Dovrebbe bastare questo, a farci rendere conto del fatto che è ormai ora di Open Data.

 
IL LAVORO? SI TROVA ONLINE di Isabella Calbi
Per la ricerca di un lavoro anche la rete può essere un valido aiuto. Si chiama Jobberone (www.jobberone.com) ed è il primo social network dedicato al mondo del lavoro. La mission è quella di colmare il gap tra domanda e offerta nel mercato lavorativo, facendo in modo che aziende e privati possano incontrarsi direttamente, senza intermediazioni e costi.

Nasce da Adecco (www.adecco.it) la prima applicazione Facebook “al lavoro che tipo sei?”, pensata da un’agenzia per il lavoro che tratteggia in poche mosse “lo stile professionale” che contraddistingue ogni persona sul posto di lavoro. Attraverso un rapido test – strutturato in poche e semplici domande – l’applicazione rivela i tratti e le caratteristiche personali di base che meglio descrivono le persone al lavoro con colleghi e capi.

Diversitalavoro (www.diversitalavoro.it), invece, ha l’obiettivo di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di laureati/diplomati con disabilità, di stranieri e persone transgender, coinvolgendo aziende ed istituzioni sensibili a valori come diversità e inclusione sociale. Infine, c’è anche un sito dedicato ai precari: www.iprecari.it. Si trova la mappa del fenomeno e una guida ai contratti atipici.

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