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Intervista a MARINA SALAMON
Imprenditrice
Intervista a MARINA SALAMON
Imprenditrice
A preoccupare l’imprenditrice veneta è il dato occupazionale. “Tutti cercano posti qualificati”, spiega. Colpa di un sistema formativo che crea illusioni e non prepara al lavoro. Soprattutto quello artigianale

 

Ogni volta che si deve citare il nome di una donna capace di coniugare lavoro, famiglia e impegno civile salta fuori il suo. Lei è Marina Salamon, classe 1958, studi all’estero ma laurea nella veneziana Ca’ Foscari, tra le più importanti imprenditrici italiane. Nel 1992 ha fondato Altana S.p.A, oggi la maggiore azienda italiana di abbigliamento per bambini, a cui ha affiancato nel corso del tempo una partecipazione in Doxa, leader italiana nel settore delle ricerche di mercato, e non solo.

Basterebbe questo breve curriculum per farne un personaggio eccezionale, ma l’eccezionalità in questo caso non si limita all’universo lavorativo. Mamma di sei figli (quattro naturali e due in affido), Salamon è da sempre impegnata anche nel sociale, tra politica e volontariato.

 

Lei che le sfide è abituata a vincerle, come vede l’attuale momento storico?

«Ciò che più mi preoccupa è il dato occupazionale, l’attuale congiuntura non produce abbastanza posti di lavoro, innanzitutto in termini numerici. A questo poi si aggiunge un’altra questione tutta italiana: le persone cercano posti qualificati, occupazioni per cui hanno studiato, che però non ci sono».

 

Di chi è la responsabilità?

«Diciamo che ripartirei dal nostro sistema formativo che crea illusioni e al tempo stesso offre gli stessi programmi in voga ai miei tempi. Alle nostre scuole e università manca concretezza».

 

Che cosa intende?

«Intendo che da un lato c’è un’eccessiva licealizzazione, per cui se non frequenti scuole di un certo tipo sei con­siderato di serie B e, al tempo stesso, il nostro sistema educativo non prepara al mondo del lavoro. Non voglio mitizzare l’artigianato: è più che umano avere paura di fare il calzolaio, però bisogna guardare in faccia la realtà. Valutare se sia preferibile finire in un call center con la laurea in un cassetto o scegliere un’attività artigianale che consenta di vivere dignitosamente e magari diventi anche la strada per realizzarsi».

 

Quali strade suggerisce?

«Creare occasioni di incontro tra il mondo del lavoro e quello dello studio. Uno dei miei figli sta frequentando un’università statunitense dove aiutano gli studenti a trovare impieghi compatibili con i percorsi formativi. Mio figlio ha un’occupazione in posta per 7 dollari l’ora. E non è solo un modo di contribuire al bilancio familiare. Un’attenzione che nelle università italiane manca. E invece serve. Io stessa, mentre frequentavo l’università, ho fatto i lavori più svariati; dall’imbarcare le gondole a impieghi temporanei alla Valtur. Ed è lì che ho capito come gestire i clienti».

 

Insomma è d’accordo con chi considera i giovani italiani un po’ bamboccioni.

«Non mi piacciono le semplificazioni e lei non immagina quanti pianti all’aeroporto mi sia fatta accompagnando i miei figli in partenza per periodi all’estero, però chi lascia la casa di mamma per andare alla scoperta di nuovi mondi attrae maggiormente la mia attenzione in un colloquio di lavoro. Ci tengo a sottolineare che non ci sono formule garantite. Il punto vero è capire la realtà».

 

Cosa altro la colpisce in un curriculum?

«Mi interessano i percorsi individuali. Non solo chi è partito, ma ad esempio chi fa volontariato, chi si impegna per una buona causa, chi fa sport. Elementi che valgono di più di una laurea in economia».

 

E invece come si sceglie un datore di lavoro?

Lei, ad esempio, è nota per l’attenzione che ha rivolto alle donne impiegate nelle sue aziende. Il capo che tutti vorremmo.

«Non sono la buona samaritana. Ci sono vantaggi oggettivi. Le donne al potere sono bravissime, sono più fedeli e leali, anche troppo poco carrieriste e siccome so per esperienza che cosa significa dover conciliare lavoro, figli, famiglia, cerco di consentire alle persone di conciliare i tempi lavorativi con quelli umani».

 

Tradotto in pratica cosa significa?

«Orari flessibili e non solo per le donne. Ci sono anche i papà che accompagnano i figli a scuola. Poi telelavoro per una quota del tempo lavorativo e bandite le riunioni dopo le cinque. Infine convenzioni con gli asili nidi cittadini».

 

A proposito di occupazione femminile, sembra che l’attuale congiuntura stia riportando le donne a casa. Che cosa ne pensa?

«Che questa crisi rallenterà la partecipazione femminile all’universo professionale, soprattutto nel nostro Paese. Per questo vorrei dare un consiglio alle signore: chiedete di più. Ai capi, ai mariti, ai figli maschi. Gli uomini sono più abituati a fare richieste, anche troppo, le donne al contrario troppo poco».

 

Le donne al potere sono bravissime, sono più fedeli e leali, anche troppo poco carrieriste e siccome so per esperienza che cosa significa dover conciliare lavoro, figli, famiglia, cerco di consentire alle persone di conciliare i tempi lavorativi con quelli umani

 

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