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PIETRO SEGATA
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
PIETRO SEGATA
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce

 

Cosa ha rappresentato per tutti noi la “primavera” araba? Una pericolosa insidia per l’islam moderato? Una minaccia per l’Europa di nuovi ingenti flussi migratori dall’area del mediterraneo? O “altro”? Penso “altro”. Penso che sia stata la ribellione di una nuova ed intera generazione tradita nelle sue aspettative, ossia il desiderio di una vita migliore di quella famigliare lasciata anzitempo, dedita alla pastorizia e al nomadismo, per frequentare le “scuole alte” nelle grandi aree urbane, bagnate dal nostro mare. Che delusione aver studiato e conseguito un diploma universitario e non poter concorrere per una occupazione confacente allo sforzo profuso, né nel proprio Paese, né altrove. Non trovare un impiego per loro, e forse per tutti, vuol dire non essere un cittadino del domani. E ancora, cosa rappresentano le più recenti manifestazioni dei giovani in Grecia, se non violenti sfoghi per un brusco e disperato risveglio per un benessere che è sfuggito ai miei coetanei e che non accompagnerà più i loro figli. Queste immagini, più vicine a noi, mi riportano, vivido nella memoria, ciò che ci dicevano, sorridendo davanti ad un bicchiere di ouzo, gli anziani di quel popolo quando sbarcavamo in massa, ogni estate, sul molo di Patrasso, con nelle cuffie del walkman il ritornello di Claudio Bisio: “italiano .. greco, una faccia una razza”! E penso ancora alla Spagna, il Paese che per tanti di noi ha rappresentato un esempio di innovazione e risveglio delle idee, anch’esso ancor più recentemente sfregiato da una crisi che tarpa proprio le ali alla generazione che dovrebbe raccogliere il frutto del progressivo progresso generato in questi ultimi vent’anni. A casa nostra le cose non stanno andando certo meglio e quando la “malavita” e la “famiglia”, nelle aree più povere e depresse del paese, e la piccola media impresa, in quelle più progredite, non saranno più capaci di dare risposte ai nostri giovani, ridotti al rango di “consumatori”, forse scenderanno in piazza come gli arabi, i greci e gli spagnoli. I rilievi statistici ci restituiscono pessimi dati sulla inoccupazione giovanile, il debito pubblico e la recessione disegnano una cornice economica e finanziaria che non può certamente generare, essa stessa, immediate favorevoli condizioni di rilancio. Per lungo tempo le nuove generazioni dovranno ridimensionare le loro aspettative di consumo, riscoprire la relazione e la vita comunitaria, sostenere uno stato sociale, anche se ha premiato al di sopra delle sue possibilità chi li ha preceduti, e probabilmente migrare verso altre aree del mondo che più corrisponderanno alla loro immediata domanda di realizzazione. Sull’asse sud-nord tutto sembra divorare velocemente la crisi di un modello capitalistico che tante opportunità ha dato in occidente alla nostra generazione e a quelle che la hanno preceduta. Un modello che non è più in grado di generare la ricchezza sufficiente a mantenere i nostri privilegi, oggi quasi esclusivamente determinati dal livello di accesso a beni e servizi, rendendoli ulteriormente disponibili per i nostri figli. Cresce la ricchezza in altre aree del mondo ed inevitabilmente, in una visione entropica, ciò avviene a discapito nostro, e tra noi dei più giovani. Per ora non ho risposte alle problematiche evidenziate. Sento comunque montare in me sempre più l’esigenza profonda di combattere sprechi e iniquità.

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