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Intervista a ANDREA RICCARDI
Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione
di Silvia Vicchi
Intervista a ANDREA RICCARDI
Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione
di Silvia Vicchi
La cooperazione rappresenta un interesse comune da cui ripartire, un momento di apertura al resto del mondo, che arricchisce enormemente i nostri giovani da un punto di vista umano, consentendo in molti casi il loro primo ingresso nel mercato del lavoro

 

INTERVISTA AL MINISTRO PER LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE E L’INTEGRAZIONE, ANDREA  RICCARDI

 

Ministro, lei ha una storia di dono e passione per la pace e l’integrazione, anche come fondatore della Comunità di Sant’Egidio. In un’epoca di crisi economica, che significato hanno la pace e un Ministero per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, mai istituito prima d’ora?

 

I momenti di crisi possono rappresentare un’opportunità. Di questo sono convinto. La crisi ci costringe a rivedere stili di vita dati per scontati, gerarchie e privilegi anacronistici. Si apre lo spazio della solidarietà, che non è una forma di elemosina per cui chi è più fortunato concede parte del suo superfluo, ma è condivisione partecipe. È la riscoperta dei valori più autenticamente umani. Una chiamata a vivere insieme, valorizzando le capacità e rispondendo ai bisogni di tutti. Questo si può fare, all’interno del nostro Paese, promuovendo l’integrazione con i cittadini immigrati e, all’esterno, attraverso la cooperazione internazionale. Quando non ci sono risorse, come nella stagione che stiamo vivendo, non ci si può limitare a lamentarsi che i soldi pubblici scarseggiano. A proposito di cooperazione internazionale, ma anche per altri settori, ho spesso parlato di deficit di idee. Sono infatti convinto che si debba considerare il capitolo cooperazione in un modo nuovo. L’aiuto allo sviluppo non va considerato solo come un atto di carità – cosa che peraltro sarebbe di per sé lodevole – ma deve diventare un’occasione di crescita anche per il sistema Paese. Un’occasione che comporta la presenza del nostro Paese in alcune aree del mondo.

 

Cosa pensa di un mondo dove le vite delle persone girano intorno all’economia e alla finanza? La crisi può diventare un valore, o rischia di trasformarsi anche in crisi sociale?

 

Da tempo penso che ci sia un’altra crisi dentro alla crisi economica, una crisi che viene più da lontano. È la crisi del tessuto sociale del Paese che si è consumato, talvolta lacerato negli ultimi decenni. In fondo il nostro è stato un mondo coeso, nonostante il forte processo di inurbamento intervenuto dal dopoguerra. Perché accanto a reti antiche, soprattutto quelle familiari e della Chiesa, si erano create nuove reti di appartenenza, come i partiti politici, i sindacati e così via. Poi, progressivamente, il mondo – globalizzandosi – è divenuto più complesso. I poteri non stanno più nei palazzi della provincia, o della Capitale, o delle istituzioni, ma sembrano lontani. Con chi parlare? È successo qualcosa che ha reso la donna e l`uomo italiani molto più soli, sicuramente fragili di fronte a una crisi economica della portata che stiamo osservando, con poche risposte di senso e nessun indirizzo. Allora ecco che la crisi economica getta luce su una crisi sociale già esistente, aggravandone le conseguenze. Per questo dobbiamo considerarla un’occasione per rivedere le nostre priorità, per ricominciare a parlare con la gente.

 

In un Paese dove solo un giovane su cinque ha un lavoro, che ruolo può avere la cooperazione come opportunità?

 

Parlare del futuro vuol dire parlare dei giovani. Ma è forse il caso di definire di cosa parliamo quando parliamo dei “giovani”. Innanzitutto in Italia i giovani tra i 15 e i 29 anni sono pochi, pari a 9 milioni e mezzo (fonte Istat: 1 gennaio 2011) e sarebbero ancor meno se non ci fosse una forte presenza immigrata. Uno su tre cerca lavoro e non lo trova. La disoccupazione giovanile, infatti, non nasce da una mancanza di intraprendenza. Semmai, l’intraprendenza dei giovani va valorizzata ed è da questa che occorre ripartire per pensare delle politiche lungimiranti. Ma devo confessare una grande preoccupazione di fronte a tanti giovani spaesati. È una gioventù “liquida”, direbbe Bauman, senza limiti e senza nessuno che la contenga. La nostra società ha bisogno di costruire nella libertà, nel fare sistema, nelle competenze, nella responsabilità di un interesse comune. La cooperazione rappresenta un interesse comune da cui ripartire, un momento di apertura al resto del mondo, che arricchisce enormemente i nostri giovani da un punto di vista umano, consentendo in molti casi il loro primo ingresso nel mercato del lavoro.

 

Cosa pensa del servizio civile, il cui rilancio è molto atteso dagli enti no profit e dalle Ong? Cosa può rappresentare per la formazione e l’educazione dei giovani?

 

Secondo l’ultima indagine multiscopo dell’Istat, l’attuale momento storico vede una chiara disaffezione da parte dei giovani nei confronti di una politica percepita come qualcosa di incomprensibile e inaffidabile. Mentre per quanto riguarda la partecipazione alle attività di volontariato, associative e culturali, si evidenzia una buona risposta giovanile, con il coinvolgimento di più di un giovane su dieci. Appare dunque chiaro che, oltre alla necessità di riabilitare la politica agli occhi dei giovani, vi è anche quella di premiare quei settori in cui i giovani si sentono invece a proprio agio. Nei suoi dieci anni di vita, il Servizio Civile Nazionale ha coinvolto 284.596 giovani impegnati nella realizzazione di progetti in diversi settori: assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, servizio civile all’estero. Attraverso la partecipazione ai progetti presentati da oltre 14.000 enti pubblici e privati, il SCN ha consentito ai medesimi enti, da un lato, di porsi come punto di riferimento delle singole realtà e, dall’altro, di ricucire i legami delle comunità, con particolare riferimento a quelli tra i cittadini e le istituzioni. Nel contempo, i giovani hanno potuto sperimentare e praticare con maggior consapevolezza una cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici.

Questo rappresenta il valore educativo del servizio civile nazionale. Molti giovani attraverso il servizio civile si avvicinano al mondo altrimenti a loro sconosciuto dei servizi alle persone (anziani, disabili, minori in difficoltà, ecc.), che tra l’altro è uno dei pochi settori lavorativi che vede un aumento dell’occupazione. Si tratta di un circolo virtuoso. L’esperienza del SCN ha facilitato l’inserimento dei giovani nel mondo lavorativo, poiché ha ridotto in modo decisivo le barriere di ingresso, attuando percorsi di mobilità territoriale e offrendo ai giovani possibilità di contatto con mondi diversi. Oltre ai progetti all’estero, che ogni anno coinvolgono circa 450 giovani dislocati in quasi 50 Paesi, dai dati di Confcooperative si rileva che il 40% di coloro che hanno compiuto un’esperienza di servizio civile è riuscito ad ottenere un’occupazione stabile a tempo indeterminato presso la stessa cooperativa in cui aveva prestato servizio. La bella notizia è che un rilancio del servizio civile c’è già stato: dopo un’attenta e faticosa ricognizione nell’ambito del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nei capitoli di mia competenza, siamo riusciti a reperire le risorse finanziarie aggiuntive per il Servizio Civile Nazionale, per un importo pari a 50 milioni di euro, a valere sull’esercizio finanziario 2012. Questi fondi consentiranno la partenza di circa 19.000 giovani nel 2013 e altrettanti nel 2014.

 

Cosa farà per favorire il lavoro delle ONG italiane nella cooperazione internazionale, trovare fondi per i progetti, favorire le donazioni? Può esserci un’agenda comune per  la cooperazione internazionale e il mondo imprenditoriale italiano, compreso quello cooperativo?

 

Le ONG raccolgono in Italia annualmente 300 milioni di euro, per interventi bilaterali di cooperazione. Sono tra le protagoniste più significative del “Sistema Paese” per la cooperazione allo sviluppo bilaterale. Godono di credito e stima nel nostro Paese. Per questo intendiamo coinvolgerle nella programmazione strategica della cooperazione. Una programmazione che deve essere rivista e arricchita, alla luce di nuove grandi domande sociali e geopolitiche. Dico questo in virtù del mio doppio impegno per la cooperazione internazionale e l’integrazione, tanto interconnesse tra di loro. Non nel senso che la cooperazione debba operare solo nei Paesi di immigrazione, ma nel senso che la politica italiana è stata troppo divaricata su questo, intendendo per “immigrazione”  l’emergenza di Lampedusa e per “cooperazione” il diversissimo Mozambico, quasi che non fosse possibile un raccordo, una combinazione dei due termini. Pensiamo invece al caso della Tunisia, dove cooperazione e integrazione vanno insieme, senza dimenticare l’importanza di una transizione democratica garantita dalla pace e garante di pace.

Il tentativo di “fare sistema” per la cooperazione ha incontrato molte difficoltà nel nostro Paese, anche perché la legge 49 non è più al passo dei tempi, segnati dalla globalizzazione e da una maggiore complessità. Credo che un passo naturale verso un’azione di sistema, una sinergia, consista nell’ottenere che tutti i soggetti di cooperazione abbiano un “luogo” dove condividere approcci e prospettive: è il “Tavolo Interistituzionale”, che rappresenta lo spazio disponibile per un confronto strategico nazionale e che quest’anno abbiamo riconvocato per alzare il livello politico di partecipazione, includendo altri soggetti pubblici centrali e soggetti privati di cooperazione, anche se non riconosciuti dalla legge: gli imprenditori migranti, la cooperazione e il credito cooperativo, gli operatori della micro finanza, le associazioni del commercio equo e solidale, ecc.

Per quanto riguarda i canali di finanziamento, stiamo valutando diverse possibilità, ma ci stiamo preoccupando soprattutto di salvaguardare le risorse esistenti, perché in Italia c’è la pessima abitudine di prendere fondi dalla cooperazione, quando è necessario garantire coperture. Infine, nessun tavolo di concertazione, nessuna iniezione di risorse pubbliche potrà rilanciare in maniera innovativa la cooperazione, se manca l’interesse dell’opinione pubblica. Quello che muove professionalità e impegno nella cooperazione è il riconoscimento del valore alla solidarietà generatrice di nuove idee ed esperienze. Io penso che dobbiamo tutti innovare sul nostro modo di comunicare il valore della cooperazione. Non basta accontentarci di fare cooperazione.  Dobbiamo favorire in tutti i modi la disponibilità di tanti cittadini ad essere coinvolti e sostenere la cooperazione. Vogliamo rimetterci in movimento, tornare a farci compagni dei Paesi del Sud del mondo, ritrovare energie nuove, dopo troppi anni di fiacca. Il dialogo e la relazione con l’altro sono gli elementi con cui vogliamo favorire la nostra partnership con i Paesi in via di sviluppo, che guardano all’Italia con interesse e rinnovata aspettativa.

 

Un pensiero per i tanti volontari e cooperanti, che hanno pagato con la vita l’impegno contro la povertà, le crisi politiche, le diseguaglianze?

 

Chi predica l’odio, l`intolleranza e la sopraffazione teme e detesta, in particolare, chi fa della gratuità e dell`altruismo la propria missione di vita. I volontari e i cooperanti che affrontano disagi, estreme difficoltà e gravi rischi sono la parte migliore del Paese. La parte che non si arrende, che non si accontenta. La parte che spera, crede e lotta per un futuro diverso e migliore. Abbiamo da poco festeggiato il ritorno a casa di Rossella Urru. Non dimentichiamo chi a casa non è potuto tornare, ma ha dato la propria vita per migliorare la vita degli altri.

 

Molti giovani attraverso il servizio civile si avvicinano al mondo altrimenti a loro sconosciuto dei servizi alle persone (anziani, disabili, minori in difficoltà, ecc.), che tra l’altro è uno dei pochi settori lavorativi che vede un aumento dell’occupazione

 

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