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Intervista a FRANCESCA IMBIMBO
Pedagogista CAF ONLUS
Intervista a FRANCESCA IMBIMBO
Pedagogista CAF ONLUS

Fondato nel 1979, come primo Centro in Italia dedicato all’accoglienza e alla cura di minori vittime di maltrattamento e abuso, in 30 anni d’attività CAF Onlus ha accolto oltre 800 minori che hanno subito esperienze talmente gravi da aver bisogno di trovare un ambiente competente dove far decantare le esperienze traumatiche e ritrovare un equilibrio

 

Dott.ssa Imbimbo, ci parla dei servizi che offrite a quanti si rivolgono a voi?

Una parte importante della nostra attività consiste nell’accoglienza e cura di bambini allontanati dalla famiglia per decreto del Tribunale per i Minorenni; nelle nostre comunità infatti accogliamo bambini di età compresa tra 3 e 12 anni che provengono da situazioni
di grave trascuratezza, maltrattamento fisico o psicologico, violenza assistita o sospetto abuso sessuale. Il nostro lavoro consiste nella cura psicoeducativa degli effetti del trauma subito dai bambini, ma anche nell’accoglienza e nel trattamento delle loro famiglie.
Un altro servizio offerto dal CAF negli ultimi anni consiste nell’attività di sostegno alla genitorialità attraverso l’Home Visiting, rivolta a famiglie che stanno per o hanno appena avuto un bambino e che presentano alcuni aspetti di fragilità, come la minore età o la lontananza dalla propria famiglia d’origine, oppure la perdita del lavoro o la presenza di conflitti familiari.

 

Che strumenti adoperate per aiutare bambini o famiglie a superare momenti difficili o ad elaborare esperienze traumatiche?

Il modello CAF utilizzato nella comunità, quindi rivolto alla cura dei gravi effetti del trauma sulla crescita dei bambini maltrattati, è un modello integrato: in estrema sintesi, l’équipe di professionisti si avvale di un approccio pedagogico, basato sulla valorizzazione della quotidianità, di ritmi e riti di vita regolari, di relazioni con adulti significativi; oltre che di un approccio psicologico, rivolto alla comprensione del mondo interno del bambino, del funzionamento familiare e del senso di quanto accaduto. È importante sottolineare come il lavoro con il bambino in comunità non possa essere disgiunto da un lavoro con la sua famiglia, laddove possibile.

 

Con il servizio “Dipartimento famiglia” CAF assicura un intenso lavoro di presa in carico psico-educativa delle famiglie d’origine dei bambini ospitati dalle Comunità. Qual è il vostro obiettivo?

Come ho già accennato, è molto importante assicurare un’accoglienza anche alle famiglie che hanno subito l’allontanamento del proprio figlio, provvedimento necessario per assicurare protezione ai bambini, ma anche doloroso per i genitori che sono stati inadeguati.
Questi adulti maltrattanti o trascuranti molto spesso hanno a loro volta subito nella loro infanzia maltrattamenti, lunghe istituzionalizzazioni o gravi deprivazioni. Solo cercando di comprendere e lavorando con questi genitori possiamo sperare di rendere più efficaci i nostri interventi con i bambini e di interrompere catene intergenerazionali di dinamiche familiari malsane.

 

Dottoressa, ci spiega cosa si intende per audizioni protette?

A volte i maltrattamenti sui minori configurano ipotesi di reato, per questo vengono avviate indagini e richiesti accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria competente. Le audizioni protette sono momenti di ascolto del minore all’interno di un percorso di accertamento
da parte dell’autorità giudiziaria. La legge garantisce che il bambino sia sentito con l’ausilio di personale preparato e all’interno di una stanza dotata di specchio unidirezionale, in modo da garantirgli la maggiore riservatezza possibile. Il CAF può fornire sia la stanza che il personale per le audizioni protette.

 

Dal 2008 CAF propone un aiuto precoce e concreto a quei genitori che stanno per avere o che hanno appena avuto un bambino e che si trovano in una situazione di “fragilità”. In pratica come vi muovete?

Il sostegno alla genitorialità avviene attraverso visite a domicilio effettuate settimanalmente da personale altamente preparato. L’operatrice, che segue la famiglia,
entra nella sua casa “in punta di piedi” per poter ascoltare con discrezione l’eventuale bisogno o fragilità che la mamma o il papà portano. Attraverso una relazione di fiducia stabilita durante i primi tempi, il lavoro si sviluppa secondo le necessità del nucleo familiare
e le risorse che la mamma porta dentro di sé.

Solo cercando di comprendere e lavorando con questi genitori possiamo sperare di rendere più efficaci i nostri interventi con i bambini e di interrompere catene intergenerazionali di dinamiche familiari malsane

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