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EMANUELA GIAMPAOLI - Giornalista EMANUELA GIAMPAOLI - Giornalista

Dalla fiaba tradizionale per eccellenza sui rapporti tra padre e figlio, Pinocchio, alle nevrosi dei legami contemporanei riletti da Luca Ronconi nello spettacolo Panico. In cerca di una felicità possibile. Riflessioni d’autore al cinema, a teatro, in libreria

Un padre che si costruisce un burattino per dare un senso alla sua vita. Una madre che ama in maniera diseguale i suoi figli. Una famiglia alle prese con un’eredità a cui non è possibile accedere. Storie che riaccendono i riflettori sulla complessità delle relazioni familiari.
A cominciare da una grande favola della nostra tradizione come “Pinocchio” portata sul grande schermo questo mese dal regista Enzo d’Alò con i disegni magnifici di quel genio della matita che è Lorenzo Mattotti e accompagnata dalle musiche composte ad hoc dal compianto Lucio Dalla.
Fedele al racconto di Collodi, D’Alò riesce però a riattualizzare la fiaba per eccellenza sui rapporti tra padre e figlio, con Geppetto che fa di tutto per educare il burattino di legno e Pinocchio che alla fine salva Geppetto diventando così un bambino in carne e ossa, un uomo vero. Per il resto i personaggi della favola ci sono tutti da Mangiafuoco a Lucignolo, dal Gatto e la Volpe alla fata Turchina.
“È dal 2000 che lavoravo a questo film – spiega D’Alò – ma non riuscivo a trovare una chiave di lettura, un punto di vista che mi convincesse per ri-raccontare la storia di Pinocchio. Poi il mio babbo ci ha lasciati una notte del 2003. E ho ripensato alla memoria di mio padre, al suo rifugiarsi in certezze perdute e lontane, al mio atteggiamento di figlio “non ubbidiente” e alle sue aspettative su di me, spesso disattese. Ho capito il suo cercare in noi figli, in me, la possibilità di rivivere di ciò che aveva vissuto, ma anche forse soprattutto di ciò che non aveva vissuto, perduto. Ho riletto il romanzo di Collodi sotto questa nuova luce”. Ne è nato un film che ci restituisce tutta l’attualità e l’universalità della fiaba italiana, le emozioni e la poesia, il senso della famiglia e il valore dell’educazione che ci fanno uomini veri.
Tempo di bilanci anche per Hemda Horowitz, la protagonista del romanzo della scrittrice israeliana Zeruya Shalev “Quel che resta della vita” appena arrivato tra gli scaffali delle librerie per Feltrinelli.
Da un letto di ospedale, circondata dai due figli a cui ha dato un amore diseguale, la donna ripercorre le vicende della propria esistenza, soprattutto il suo rapporto con Dina e Avner.
Un legame complesso e talvolta conflittuale con la figlia, una sorta di dedizione assoluta per il figlio, un avvocato che combatte per i diritti delle minoranze. Avner è però nel privato un uomo frustrato, tormentato dalla propria inettitudine sentimentale, Dina invece è una madre premurosa, che ha rinunciato alla carriera per la figlia adolescente Nitzan e che di fronte a un bambino abbandonato viene colta dal desiderio di accoglierlo, contro il parere degli altri membri del suo nucleo familiare.
Un romanzo sulle relazioni difficili tra genitori e figli, ma anche tra fratelli e tra coniugi che lancia un messaggio potente, quello che i veri legami non sono dettati dal sangue, ma dall’amore.
È invece uno sguardo ludico e divertito, grottesco e surreale ma non per questo meno profondo quello di Rafael Spregelburd, drammaturgo argentino tra i più interessanti della scena contemporanea di cui Luca Ronconi porta in scena al Piccolo fino al 10 febbraio “Panico”.
Il panico ruota attorno ad un morto, che non sa di esserlo e ai suoi congiunti che non possono vederlo ma ne percepiscono la presenza. Durante la crisi in Argentina del 2001 in una famiglia viene assassinato il padre famiglia Emilio (Paolo Pierobon), restano la moglie interpretata da Maria Paiato con due figli, in un appartamento che un’agente immobiliare (Iaia Forte) cerca di vendere dove è ancora disegnata a terra con il gesso la sagoma del morto.
Ma il vero dramma di chi resta è ritrovare la chiave della cassetta di sicurezza in cui sono custoditi tutti i loro averi e che solo il marito, che peraltro non crede di essere morto e si aggira per la scena, sa dove è. Per ritrovare l’eredità occorre riallacciare il filo dei rapporti familiari, massacrati dalla nevrosi contemporanea e alle prese con la crisi economica.

 

FAMIGLIE IN BILICO, TRA CRISI ECONOMICA E SENTIMENTALE
Esce questo mese in dvd “Gli equilibristi”, il bel film di Ivano De Matteo, passato al festival di Venezia che mette in luce la difficile condizione economica in cui vivono molte famiglie italiane e come questa possa diventare addirittura tragica in caso di separazione. L’equilibrista è Giulio, che ha le fattezze di Valerio Mastandrea, quarantenne dalla vita apparentemente tranquilla. Con una casa in affitto, un posto fisso, un’auto acquistata a rate, una figlia adolescente e un bimbo tenero e sognatore, una moglie, Barbora Bobulova, che ama ma che tradisce. Lei però chiede la separazione, lui scopre il labile confine tra benessere e povertà. Una storia che guarda in faccia la realtà dei nostri giorni e che il regista ha voluto raccontare documentandosi presso la Comunità di Sant’Egidio a Roma, dove sono state girate anche alcune scene della pellicola.
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