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EMANUELA GIAMPAOLI - Giornalista EMANUELA GIAMPAOLI - Giornalista

È quasi un genere il racconto dell’istruzione che tra libri, film e pièce teatrali ci ricorda tra stereotipi e vita vera l’importanza di stare tra i banchi. Un’occasione unica nella vita di un ragazzo. Da non sprecare mai

“’La mia classe’ di Daniele Gaglianone viene proiettato in quasi tutte le scuole, ma in sala c’è stato a malapena”. Parola di Valerio Mastandrea, protagonista del film che per fortuna è uscito di recente in dvd. Lui, nella pellicola, fa il maestro di italiano impegnato a svelare segreti della grammatica e della sintassi del nostro idioma a una classe di studenti extra-comunitari. E se l’impresa si rivela subito difficilissima, quel che invece emerge con la forza delle cose vere, è che per gli studenti diventa uno dei pochi barlumi di umanità in un paese che non ne vuol sapere di loro. “La classe – ha spiegato Gaglianone – l’abbiamo costruita mettendo insieme studenti autentici incontrati nelle nostre visite a corsi vari di italiano in giro per Roma”. Persone vere con problemi veri che a un certo punto irrompono nella finzione narrativa trasformando l’opera quasi in un documentario, dove la troupe diventa parte attiva del film.
“Studenti che provengono apparentemente da mondi rassicuratamente lontani dal nostro – dice ancora il regista – divengono familiari,‘nostri”, grazie a quelle lezioni di italiano in tutta la loro dimensione sia didattica sia ludica: è allora che smettono di essere invisibili”. La scuola è anche il luogo dove la protagonista del libro “Tempo di imparare” della scrittrice napoletana Valeria Parrella, pubblicato da Einaudi, accompagna tutte le mattine il suo bambino. Che si chiama Arturo e che per un’asfissia alla nascita ha un grave handicap. Per farlo la mamma si prepara così: “La mattina faccio la cartella: elmetto, e mela per la merenda. Fucile e quaderno a quadretti grandi. Marca da bollo e penna con l’impugnatura facilitata. Vestito buono e cuore cattivo. Mi preparo – ma accettare, quello ancora non riesco”.
Difficile da accettare non è il figlio disabile, quello che non si accetta è l’insegnante di sostegno che non c’è, i diritti da conquistare ogni giorno, le attese lunghissime per le visite mediche. Perché se hai tatuato addosso il numero 104 – quello della legge sulla disabilità – e vivi in un mondo «che non ha proprio la forma della promessa», ci vuole davvero
coraggio per affrontare le sfide di ogni giorno. «Che sconfitta, figlio, tenere assedio al proprio Paese» dice la protagonista a un certo punto. Eppure bisogna tener duro, perché a quel diritto, al diritto di andare a scuola, insieme a tutti gli altri bambini proprio non si può rinunciare.
Al ruolo formativo dell’esperienza scolastica, rimanda anche “La scuola”, spettacolo teatrale del ’92, ispirato al libro di Domenico Starnone “Sottobanco”, già diventato un film per la regia di Daniele Luchetti nel ’95 (disponibile in dvd), che vent’anni dopo Silvio Orlando, protagonista di oggi come di ieri, ha riproposto la scorsa stagione nei grandi teatri italiani, registrando quasi sempre il tutto esaurito.
Lo spettacolo era (e resta) un affresco della scuola italiana di quei tempi e al tempo stesso è un esempio quasi profetico del cammino che il nostro sistema scolastico stava intraprendendo.
“Ho deciso di riportare in scena lo spettacolo più importante della mia carriera; fu un evento straordinario, entusiasmante, con una forte presa sul pubblico” ha spiegato Orlando.
Il racconto ruota intorno all’ultimo giorno di scuola, momento di saluti prima della pausa estiva e soprattutto di scrutini. Orlando, nei panni del professor Cozzolino, e il resto del corpo insegnante interpretato da Marina Massironi, Roberto Citran, Roberto Nobile portano in scena il confronto tra speranze, ambizioni, conflitti sociali, amori, amicizie e scontri generazionali, ma soprattutto richiamano l’attenzione sul ruolo centrale che la scuola può avere per tutti i ragazzi. Quelli di borgata e di buona famiglia, gli studiosi e gli indisciplinati, i simpatici e gli antipatici, gli ubbidienti e i ribelli. In una parola, tutti.

 
LA SCUOLA NON SERVE A NIENTE
Se un ragazzo di quindici anni abbandona i banchi di chi è la colpa? Dei professori? Della famiglia? Dello studente? Cerca di dare una risposta a questa domanda il volume “La scuola non serve a niente” l’ultimo, provocatorio saggio di Andrea Bajani, arricchito dai contributi, tra gli altri, di Massimo Recalcati, Mariapia Veladiano e Marco Lodoli. In vendita in edicola, libreria e in formato ebook, per la collana Repubblica e Laterza, il libro si sofferma sulle lacune dell’istruzione scolastica, oggi sempre più abbandonata dagli studenti, come mostrano grafici e statistiche. Bajani riflette su una scuola che accanto a nozioni e conoscenze, sia in grado di porsi come strumento di comprensione della realtà in cui viviamo. A partire dalla cultura, ma anche dalla capacità di coinvolgere tutti. “Non a caso, la scuola è il nostro primo e forse ultimo luogo di aggregazione, comunità, condivisione. E quindi è indispensabile in un’epoca di profonde solitudini come la nostra” osserva l’autore. A patto di ridare agli insegnanti non solo il proprio ruolo, ma pure il sostegno dello Stato.
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