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Intervista a ALDO BENEDETTI
Ingegnere, professore di Composizione Architettonica
Università degli Studi dell’Aquila
Intervista a ALDO BENEDETTI
Ingegnere, professore di Composizione Architettonica
Università degli Studi dell’Aquila
La sostenibilità è una condizione ormai irrinunciabile per proposte e progetti. Essa è, al tempo stesso, un segnale di una comprovata sensibilità culturale verso un più equilibrato consumo delle risorse e, tuttavia, tradisce l’amara sensazione di incompiutezza e, addirittura, di impossibilità nelle aree e nei contesti meno sviluppati dal punto di vista economico e sociale
 

La sostenibilità è di moda. Questa è almeno la sensazione che si ricava dall’ingresso prepotente di questa parola nel lessico dei diversi campi della nostra vita e nei dibattiti che riguardano i comportamenti e le relazioni che intessiamo con il mondo che ci circonda.
La sostenibilità è una condizione ormai irrinunciabile per proposte e progetti. Essa è, al tempo stesso, un segnale di una comprovata sensibilità culturale verso un più equilibrato consumo delle risorse e, tuttavia, tradisce l’amara sensazione di incompiutezza e, addirittura, di impossibilità nelle aree e nei contesti meno sviluppati dal punto di vista economico e sociale. E ciò appare evidente sia in Italia che nell’intero pianeta.
Per quanto l’applicazione dei criteri di compatibilità ambientale e di contenimento degli sprechi sia stato configurato attraverso l’adozione di norme e leggi, anche capillarmente incisive, assistiamo ad una sempre più accentuata discrasia tra una visione sistemica degli interventi e della loro attuazione nello spazio antropico. Spesso è la logica particolaristica e la disarticolazione dei procedimenti a prevalere rispetto ad un pensiero ed un’azione olistici.
L’industria dell’edilizia, ad esempio, ha da tempo accolto le indicazioni maturate in ambiti nazionali e continentali in tema di sostenibilità proponendo componenti, materiali e metodi di produzione atti a ridefinire manufatti e ambienti rispondenti alle nuove condizioni.
In tali campi l’innovazione tecnologica, per lo più figlia della ricerca scientifica, ha dato luogo a significativi avanzamenti nella configurazione dei sistemi impiantistici e della struttura stessa dei manufatti. Il controllo e la gestione degli spazi abitativi è stato fortemente influenzato dall’automazione e dalla progressiva smaterializzazione dei meccanismi necessari per la vivibilità. Dunque l’insieme di questi dispositivi, anche i più sofisticati, è a portata di mano. La domotica ci è familiare, essa è a disposizione di progettisti e utenti.
Eppure tali strumentazioni restano confinate nella sfera ristretta dell’individuo rappresentandosi nell’immaginario comune come accessori, oggetti “opzionali”, “gadgets”, simboli di una condizione sociale. Quante case monofamiliari abbiamo visto esporre improvvisamente, da un giorno all’altro, pannelli solari sui propri tetti pur continuando ad essere strutturalmente “energivore”? La sensazione di inadeguatezza ci coglie attraversando i territori delle “villettopoli”, delle sconfinate periferie dove gli involucri degli edifici e le coperture mostrano le soluzioni più aggiornate, eppure la goccia del risparmio energetico di pochi si perde nel mare del suolo sfrenatamente consumato. Che dire, inoltre, a questo proposito, dell’abusivismo più o meno legalizzato?
Questi paesaggi post-urbani, così presenti nella situazione contemporanea, sono la rappresentazione vivente delle contraddizioni in atto. La maturazione di una coscienza ecologica si è manifestata in quei paesi-frontiera della modernità che per primi si sono confrontati con i cicli delle dismissioni, con le necessità e le opportunità dei recuperi di manufatti e territori, con la prospettiva di una condizione alternativa rispetto alla crescita senza limiti. In molte di queste aree possiamo verificare gli effetti dei cambiamenti, innanzi tutto culturali, oggi posti in atto attraverso modi e metodi di pianificazione e di progettazione architettonica. Le nuove valenze attribuite agli spazi aperti e agli spazi pubblici, alla mobilità lenta e al trasporto collettivo, alla rivisitazione della densità urbana e delle strutture compatte, delineano uno scenario con il quale dovremo, come progettisti impegnati eticamente, inevitabilmente confrontarci per offrire alle prossime generazioni un ambiente di vita salubre e solidale.

 

L’ETICA DEL COSTRUIRE
Accanto a “sostenibilità”, nel dibattito sulla progettazione del costruito, c’è un’altra parola collegata che spesso in architettura si fa fatica a pronunciare. Questa parola è “Etica”. Nonostante un celebre spot tentasse di riportare il tema della Biennale di Venezia 2000 a trattare questo argomento, ancora oggi sembra persistere nel mondo dell’architettura una certa reticenza verso questo aspetto, come se l’attività progettuale fosse svilita nel preferire l’aspetto etico a quello estetico. In questo senso, in architettura, si coglie spesso la frivolezza della ricorsività del termine ‘sostenibile’, quasi a ricercare l’affermazione di un carattere di novità piuttosto che la coerenza verso un obbligato processo di ritorno ad una più consapevole etica della pratica progettuale. Con il Nido Barbapapà a Vignola la sfida che noi progettisti ci siamo prefissi di superare è stata quella di realizzare un’opera dove l’Etica potesse convivere con l’Estetica. Molti dei dispositivi studiati (riduzione dell’impatto volumetrico, manto di copertura vegetale, riciciclo delle acque piovane, integrazione del raffrescamento e riscaldamento attraverso sistemi passivi con utilizzo di scambiatori posti a profondità nel sottosuolo) svolgono un’importante funzione ecologica, ma altresì contribuendo a rinnovare l’assetto formale delle strutture architettoniche, mirano ad esprimere valori che preparino la collettività ad una più cosciente partecipazione nella gestione dell’ambiente umano.

di Luca Ciaffoni, CCDSTUDIO.EU

 

PROGETTO LAVANDA
Nei primi 24 mesi di vita il bambino consuma circa 5000 pannolini, ognuno dei quali impiega dieci anni o più per decomporsi. Per questo Società Dolce per i suoi nidi d’infanzia privati e in concessione a Bologna ha scelto di aderire al progetto Lavanda della cooperativa Eta Beta che offre un servizio di noleggio e lavanderia di pannolini ecologici, lavabili e riutilizzabili, a nidi d’infanzia pubblici e privati. Ai nidi vengono forniti pannolini semplici da utilizzare perché composti da un unico pezzo molto similare all’usa e getta, realizzati in fibre naturali, provenienti da agricoltura biologica. Si tratta di un progetto innovativo, realizzato in collaborazione con l’Università di Bologna, non solo igienicamente certificato, ma anche scientificamente provato come eco-sostenibile. Il processo viene replicato grazie all’utilizzo di macchine industriali ad alta tecnologia dedicate e ad un sistema di tracciabilità con microcheap appositamente studiati. Oltre ad assicurare grandi benefici all’ambiente e agli stessi bambini per l’impiego di fibre naturali, Lavanda rappresenta anche un’importante opportunità lavorativa per le persone svantaggiate. www.etabeta.coop
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