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Intervista a CARLO FLAMIGNI
Ginecologo, professore universitario e scrittore
Intervista a CARLO FLAMIGNI
Ginecologo, professore universitario e scrittore
Dalle conquiste della fecondazione assistita ai limiti etici, passando per i diritti dei pazienti. Tutte le sfide che Carlo Flamigni in oltre mezzo secolo di attività ha combattuto. Vincendone molte

 

 

Classe 1933, ginecologo di chiara fama, Carlo Flamigni è il “padre” dei bambini in provetta in Italia, professore universitario a Bologna fino al 2008, autore di moltissime pubblicazioni scientifiche sull’infertilità, è anche membro del Comitato nazionale per la bioetica. Una lunga carriera in cuiha sempre cercato di coniugare il progresso scientifico con il rispetto della persona. Battendosi per una medicina più a misura di uomo.

Professor Flamigni nel 1996 è stato tra i firmatari del Manifesto di bioetica laica. Cosa è cambiato vent’anni dopo?

Di importante c’è stata una sentenza della Corte dei diritti dell’uomo che riguardava due pazienti in Austria cui era stata negata la donazione di gameti. Nonostante la sentenza non fosse a loro favore, la Corte ha creato un precedente importante affermando il principio che chi legifera deve fare norme leggere che possono essere cambiate in tempi brevi. Questo perché, dice la sentenza, il dovere del legislatore è di seguire con grande attenzione le modificazioni della morale di senso comune. Che muta rapidamente al mutare delle conquiste scientifiche e della capacità di comunicarle. È una morale sempre molto cauta ma capisce i vantaggi che derivano dalle conoscenze possibili. È su questa base che bisogna legiferare, dice la Corte dei diritti dell’uomo. È una cosa straordinaria che non aveva mai detto nessuno. Una grande lezione di modernità.

È stato faticoso portare avanti la sua battaglia in un paese come l’Italia?

Certo non è stato semplice, non ho mai avuto protezioni, non sono mai stato massone.
I cani sciolti si pigliano calci da tutti. Pensi che sono stato perfino redarguito da Giovanni Paolo II. Nel 1988 dirigevo il servizio di Fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna e avevo un’équipe di giovani ricercatori di ottimo livello. Uno di questi era Carlo Bulletti, oggi all’ospedale di Rimini. Era stato negli Stati Uniti dove avevano trovato il modo di asportare l’utero con buona parte dei suoi vasi che sopravviveva fuori dal corpo. Decidemmo allora di impiantare un embrione, un embrione che non aveva alcuna chance di sopravvivenza. Scegliemmo embrioni alteratissimi che non avrebbero mai potuto diventare vita vera e tentammo l’attecchimento. E andò a buon fine. Fu un evento sconcertante, nemmeno la comunità scientifica era pronta: l’esperimento venne pubblicato sulla rivista «Fertility and Sterility», accompagnato da una nota del direttore del giornale che ne prendeva le distanze sotto il profilo etico. E anche il papa ne prese le distanze in una lettera ai vescovi.

A proposito quali sono secondo lei i limiti?

Io non ho mai fatto follie. Ho una visione della ricerca molto precisa. Faccio ciò che mi indica la società, il mio scopo è aiutare le persone più sfortunate. Questi sono i miei limiti. Se esco da questi confini sono un folle e anche uno stupido, uno che si muove solo per curiosità personale. L’altro limite che mi sono dato è che non faccio niente che mi venga pagato dall’industria farmaceutica.

Che cosa succederà nei prossimi 10 anni in Italia?

Credo che l’apertura verso la possibilità di accedere alla procreazione assistita si estenderà anche alle donne single e alla coppie omosessuali. D’altronde tutte le esperienze fino a qui condotte hanno dimostrato che non ci sono controindicazioni per i bambini. Semmai se c’è un diritto dei bambini è quello di sapere se sono stati voluti o se si è rotto il preservativo. È questa la vera differenza. Poi c’è una domanda che nessuno si fa ed è: che cosa vogliono le donne? L’età in cui si mette al mondo un figlio è sempre più elevata e questo qualche interrogativo dovrebbe suscitarlo.

A proposito la fecondazione assistita è anche un business?

Ci si muove in un terreno paludoso. Un terreno paludoso perché ci sono troppi soldi e molti soldi hanno sempre inquinato tutti gli ambienti. In Italia ci sono 300 centri, in Francia la metà, però molte più fecondazioni. Poi per carità in Italia ci sono anche tanti medici per bene, ma anche molte scelte fatte per interesse.

Non a caso un’altra delle sue battaglie è stata quella di restituire al paziente i suoi diritti.

Se il 68% degli italiani non si fida del suo dottore, la colpa in primis è di quest’ultimo: frettoloso, supponente, perfino codardo. Ma in Europa non va meglio da questo punto di vista. Non si accetta che noi tutti abbiamo diritto alla scelta personale e all’indipendenza. Noi ci aspettiamo che il medico ci metta in condizione di scegliere, mentre il medico ha ancora un approccio molto paternalistico. L’altro aspetto è il tema della medicina difensiva, oggi moltissimi medici temono di finire in tribunale e questo ha effetti negativi anche sulle terapie proposte. I medici non devono essere eroi, bisogna tornare a una medicina basata sulle piccole virtù, ovverola capacità di ascoltare, di spiegarsi, di capire cosa vuol dire la responsabilità.

Il paziente come si può difendere da tutto questo?

Bisogna ristabilire un rapporto di rispetto reciproco, un rapporto di condivisione con il proprio medico e non sottomissione. Basato sul rispetto, che soprattutto negli ospedali manca a volte. Ci sono numerose richieste di associazioni che chiedono che i pazienti vengano trattati con il rispetto che gli è dovuto. Un altro esempio: in media alla prima visita il paziente viene interrotto dopo 15 secondi che parla. Poco per capire cos’ha, qual è la sua storia clinica. Se lo fa alzatevi e cambiate medico. Un altro aspetto fondamentale è quello del consenso informato, che non è un foglio di carta da firmare, è un incontro nel quale al paziente vengono date le informazioni necessarie che gli consentano di scegliere in maniera autonoma. E il medico dovrebbe accertarsi che il paziente ha capito. Un secolo fa c’erano i medici condotti che avevano profonda conoscenza delle persone che curavano. Era la medicina del malato. Con la conoscenza è venuta fuori la medicina della malattia. Bisogna tornare a essere medici dei malati.

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