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Intervista a CHIARA STOPPA
Attrice
Intervista a CHIARA STOPPA
Attrice
Chiara Stoppa è un’attrice milanese che a 26 anni scopre di avere un tumore e poche chance di farcela. Oggi, dopo dieci anni è ancora qui. Una storia che sembra un miracolo ma che fa riflettere sul modo di affrontare la malattia. Senza rinunciare a se stessi

 

Chiara Stoppa ha solo 26 anni quando le viene diagnosticato un tumore. Uno di quelli brutti, che non arretra neppure dopo quattro cicli di chemio. L’unica speranza è quella di un trapianto. Ma lei dice no, ribellandosi alle cure, ai medici, all’ospedale. Sembra la fine ma è solo l’inizio. «Quando mi dissero che avevo pochi mesi di vita – ricorda – iniziai a pensare a cosa dire ai miei amici, alle persone a me care, per un degno saluto. Poi decisi che era meglio alzarsi dal letto, era meglio stare meglio, era meglio vivere…». Dopo dieci anni Chiara è ancora qui, guarita. La sua storia straordinaria l’ha raccontata nel libro “Il ritratto della salute”, edito da Mondadori, e continua a portarla sui palcoscenici di tutta Italia.

Cos’è Il ritratto della salute?

È un monologo in cui racconto la mia storia, cioè la malattia, le terapie, il dolore ma anche la ribellione e la rinascita. Mi avevano dato per spacciata e invece a un certo punto sono guarita.

Perché ha deciso di raccontarsi pubblicamente?

Perché tutti gli amici e i conoscenti mi fermavano per chiedermi come avevo fatto a sopravvivere al tumore. A volte anche gli sconosciuti, e visto che di mestiere faccio l’attrice è nato lo spettacolo insieme a Mattia Fabris. La prima a darci fiducia, dopo aver letto il testo, è stata Franca Valeri che firma anche la prefazione del libro.

Come ha scoperto di avere il linfoma di Hodgkin?

Avevo 25 anni e mi sentivo sempre stanca, anche in vacanza, al mare, sulla spiaggia. Non avevo le forze per fare nulla. Così mi sono fatta accompagnare in ospedale per un controllo, non mi hanno più fatta tornare a casa.

Qual è stato il suo percorso di cura?

Ho cominciato con le chemio. Sono stati mesi tremendi, stavo a letto quattro giorni di fila al buio. Mi dava la forza quello che mi avevano detto i medici e cioè che la mia malattia era curabile nell’80% dei casi. Un giorno però è arrivata la mazzata: mi hanno detto che purtroppo facevo parte di quel 20% sfortunato. Insomma, ero spacciata.

Ha avuto paura di morire?

A livello di statistiche non avevo alcuna speranza. Al punto che ho pensato come sarebbe stato il mio funerale, anche se forse in fondo non ero convinta che sarei morta. Oggi mi reputo fortunata ad aver visto la morte in faccia.

Poi cosa è successo?

L’ultima strada possibile, a detta dei medici che mi avevano in cura, era quella di farmi trapiantare il midollo di mia sorella. Avevamo però una compatibilità del 50% e il rischio del fallimento era elevato. Tutto era pronto, ma all’improvviso ho detto no. Se fossi morta, lei sarebbe vissuta con un senso di colpa insopportabile e non volevo che accadesse.

Però oggi è ancora qui. Come se lo spiega?

È complicato dare risposte a questa domanda. Premetto che se c’è una cosa che ho imparato è che ognuno ha la sua storia. Dopo aver rinunciato al trapianto ho incontrato Graziella, una persona che fa massaggi cranio-sacrali. Al primo appuntamento le racconto la mia vicenda e lei mi dice: ‘Be’, hai un tumore, e allora? Dov’è il problema?’. Da quella frase ho ripreso in mano la mia vita. Ho fatto anche un altro ciclo di chemio e la radio, ma ho rimesso me stessa al centro. Ho cambiato medici, fatto tanta psicoterapia, ho anche riscoperto la preghiera. Non ero più il paziente x, ma Chiara Stoppa. Oggi faccio controlli ogni due anni, ma non voglio dare messaggi sbagliati: l’unica cosa che mi sento davvero di condividere è che bisogna ascoltare se stessi e trovare medici capaci di ascolto.

Come reagiscono gli spettatori che vengono a vedere il suo spettacolo?

Ridono, piangono, in tanti alla fine dello spettacolo mi ringraziano perche hanno ritrovato la speranza. Il teatro è il tempio dell’incontro.

 

LA CUCINA ITALIANA È SEMPLICE: PAROLA DI CHEF
Carlo Cracco che, come tutti i fuoriclasse, fa sembrare facili le cose difficili è portavoce di questa teoria. Lo chef, dal 2007 alla guida dell’omonimo ristorante tra i 50 migliori nel mondo, infatti, consiglia la semplicità come ingrediente principale anche per Expo 2015, la rassegna dal tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Secondo Cracco, l’Esposizione universale è una grande occasione per realizzare un modello di sana alimentazione da esportare in tutto il mondo, e sarà un successo solo se il messaggio proseguirà anche dopo l’evento. Per questo lo chef – che ha avuto maestri come Gualtiero Marchesi, Alain Ducasse, Annie Feolde e Alain Senderens – è convinto che la cultura del mangiar sano si debba insegnare fin da piccoli, partendo dai banchi di scuola, ma soprattutto da refettori e mense. Tra l’altro Cracco con l’insegnamento ha già avuto a che fare, grazie al programma televisivo su Sky “Master Chef Italia”, un format internazionale che lo ha visto protagonista con due colleghi, Bruno Barbieri e Joe Bastianich, nel ruolo di insegnante di apprendisti cuochi. Di origini vicentine, Cracco rivisita i piatti della tradizione lombarda in una chiave innovativa, giocando sui contrasti di sapori. La sua è una cucina tecnica, essenziale, originale che lo ha portato in poco tempo ad ottenere 2 stelle Michelin. Inoltre, la cucina viene definita dallo stesso Cracco “cerebrale e di cuore”, in quanto la ricerca non dev’essere mai disgiunta dalle emozioni gustative.

 

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