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Intervista a PIETRO SEGATA
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
Intervista a PIETRO SEGATA
Presidente Cooperativa Sociale Società Dolce
Pietro Segata, presidente di Società Dolce, racconta come si è evoluta la cooperativa di cui è alla guida di fronte alle nuove sfide del welfare. E come oggi dopo anni difficili se ne vedano i primi positivi frutti

 

 

«In Italia, in particolare al nord, il Servizio Sanitario Nazionale ha garantito standard di qualità dei servizi e delle prestazioni tra i più elevati in Europa, il che unito a uno stile di vita sano ha determinato un innalzamento dell’età media della popolazione. Innalzamento dell’età che è andato di pari passo con un’aspettativa di benessere oltre la soglia della cosiddetta terza età. Ci si aspetta in pratica di campare a lungo e in buona salute. Tutti risultati ovviamente positivi. La sfida però è garantire prestazioni sanitarie adeguate pure in tempo di crisi». A dirlo è Pietro Segata, presidente di Società Dolce, che questa battaglia dal suo osservatorio privilegiato la combatte tutti i giorni.

Quali sono le principali criticità?

Dall’ultimo rapporto Welfare Italia emerge un dato preoccupante: gli italiani rinunciano a prestazioni sanitarie e di assistenza. E se da un lato appunto la domanda di cura aumenta, diminuisce la spesa sanitaria privata (-5,7%), il cui valore pro-capite si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno. Le famiglie italiane sono state costrette a rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di sole prestazioni mediche private. La sfida dunque è garantire prestazioni di livello a un prezzo accessibile.

Di fronte a questa trasformazione in atto, Società Dolce come ha reagito?

Innanzitutto ci siamo dovuti riposizionare. E lo abbiamo fatto cercando di non subire il cambiamento ma di trasformarlo in un’opportunità di crescita. Anche per i nostri soci lavoratori. Da questo punto di vista c’è stato un grande lavoro anche all’interno per far comprendere ai tremila occupati di Società Dolce il particolare momento storico. Non tutti sono sulla frontiera, per questo è importante indicargli la direzione.

Con quali risultati?

Ci sono voluti cinque anni, ma abbiamo raggiunto obiettivi di cui andiamo fieri. Dal Bilancio 2014, chiuso in attivo, alla definitiva stabilizzazione dei nostri soci lavoratori che ora sono tutti assunti con contratti a tempo indeterminato. Tenendo conto che l’87% dei nostri dipendenti sono donne è un bel risultato. E, per restare in tema con il benessere, vorrei aggiungere che la percezione della stabilità aumenta le endorfine e porta chi la prova ad approcciare il futuro in una dimensione diversa, con più fiducia.

Come ci siete riusciti?

Mettendo in pratica quello che per molti è solo uno slogan: porre al centro gli utenti, anche a discapito di certe richieste da parte del committente pubblico. Se mi passa un termine commerciale, trattando gli utenti da clienti, nel senso nobile del termine. Tanto per fare un esempio, lampante, mentre all’interno delle istituzioni è in corso il dibattito sulla flessibilità per nidi e scuole dell’infanzia, da noi è già una possibilità reale, con aperture nei weekend e nei mesi estivi, sempre tutelando il bambino ma anche venendo incontro alle reali esigenze della famiglia. E anche questo si traduce in un maggior benessere per tutti.

A proposito, dal vostro punto di vista, quali sono le problematiche relative a salute e benessere dei bambini?

Forse il dato più rilevante è l’aumento da parte dei genitori di richieste di consigli e informazioni sulla salute psico-fisica dei bambini. Un tempo negli asili il pediatra era una presenza frequente, oggi si può dire che c’è una grande e continua richiesta di un primo orientamento sulle questioni che riguardano il benessere dei piccoli. Il che significa lavorare molto dall’interno sulla formazione.

Un altro ambito che vi vede impegnati è la malattia psichica. Quali sono gli obiettivi in questo settore così delicato?

Quest’anno a livello nazionale si è concretizzato un obiettivo importante con la chiusura degli Opg, i cosiddetti ospedali criminali. Il vero salto di qualità dal mio punto di vista sarebbe quello di riuscire ad aprire un’altra gabbia: quella della terapia farmacologica. Attualmente c’è il rischio concreto di sostituire la reclusione con un uso improprio e massiccio dei farmaci. Il che è naturalmente un’altra forma di violenza. Piuttosto bisogna portare avanti opportunità di inserimento lavorativo e comunitario in modo di riattivare la socialità nei soggetti che soffrono di disturbi psichici.

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