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Intervista a SALVATORE VASSALLO
Politologo
Intervista a SALVATORE VASSALLO
Politologo
Salvatore Vassallo, politologo e tra i padri fondatori del PD, fa il punto sulle nuove norme anticorruzione. “La strada è quella giusta, ma occhio agli eccessi di giustizialismo”

 

 

«Che cosa sappiamo veramente rispetto a questa impressione diffusa dell’Italia come un paese corrotto? Non esistono modi sicuri. Di solito si prende come indicatore il numero dei reati legati alla corruzione. Ma non è un indicatore certo. Si tratta solo di indizi». Salvatore Vassallo, tra i massimi politologi italiana, dà conto delle conseguenze dell’illegalità sulla vita politica del Paese, lanciando però una provocazione.

Scusi Vassallo sta dicendo che l’Italia non è un Paese in cui esiste un problema legato alla corruzione?

Temo che la corruzione in Italia sia un problema oggettivo. Lo conferma anche una ricerca recente di Transparency International, una delle organizzazioni non governative più accreditate nello studio della corruzione, che fornisce un quadro desolante: il nostro Paese risulta tra i più corrotti in Europa, al pari di Grecia e Romania, e nella classifica mondiale viene dopo il Sudafrica. Però è giusto interrogarsi su quanto nella nostra percezione dell’Italia come un Paese corrotto finisca per pesare anche l’attitudine tutta nazionale all’autocritica.

Quali sono secondo lei le ricadute sulla vita politica del Paese?

Credo che se da un lato l’aver sollevato la questione sia stato naturale in una fase in cui la politica è sotto pressione e non solo in Italia a causa della crisi economica, al tempo stesso ha favorito la nascita di una nuova ideologia basata sull’anti-corruzione. Un’ideologia condivisa dal Movimento 5 stelle, per citare il caso più ovvio, ma che tocca tutto l’arco parlamentare e che a volte è pericolosa. A cui fa gioco enfatizzare il problema, che ripeto esiste, della corruzione.

In che senso?

Ci sono effetti positivi, come l’aver innescato un tentativo di rinnovamento, ma ci sono anche conseguenze negative ed è quello di aver svuotato la classe politica di credibilità. Con il rischio di impoverirsi. Ma i tentativi di introdurre principi di trasparenza sono ovviamente sacrosanti.

Quali sono i più rilevanti?

Dalla legge Severino in poi si è cercato di intervenire per prevenire la corruzione. Magari si è agito un po’ troppo in preda all’ansia, all’ambizione alla trasparenza totale con risultati talvolta paradossali. Il caso di De Luca rispetto alla norma sull’incandidabilità ne è un esempio. Ha evidenziato un problema. Un altro importante provvedimento è il Codice etico dei dipendenti pubblici, che invece va nella giusta direzione e prima non esisteva. Insomma la strada imboccata è quella giusta, ma occhio agli eccessi di giustizialismo.

Che cosa resta da fare?

Innanzitutto occorre che di pari passo all’iniziativa legislativa per rendere più stringenti le norme contro la corruzione si proceda con un lavoro di semplificaziosemplificazione rispetto al nostro sistema normativo talvolta troppo complesso. Altrimenti il principio etico della trasparenza rischia di contrastare un altro principio etico che è quello di rispondere al bene della collettività. In questo senso il limite della Severino è nella difficoltà oggettiva dell’applicazione delle norme.

Con quali conseguenze?

Quest’ansia di rendere tutto trasparente rischia di paralizzare lo Stato, a partire dalle opere pubbliche che da anni in questo Paese sono bloccate. Non dimentichiamo che le finalità di una Pubblica Amministrazione dovrebbero essere quelle di aumentare i diritti e il benessere dei cittadini. A questo proposito speriamo che la riforma della Pubblica Amministrazione vada in questa direzione. Credo che la questione si chiarirà con la pubblicazione dei decreti del Ministro Madia attesa per la fine del 2015.

Che cosa si aspetta?

In questi anni abbiamo assistito a un ricambio innegabile della classe politica. Però bisogna che al meccanismo effettivo di ricambio dei politici ne corrisponda un altro, equivalente, di ricambio tra i dirigenti della PA. È infatti dimostrato che l’inamovibilità dei dirigenti favorisce l’annidarsi di patologie connesse con la corruzione. Poi, più in generale, bisogna che la componente penale vada a braccetto con quella preventiva.

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