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Intervista a GIUSEPPE ACOCELLA
Ordinario Teoria generale del diritto, Università di Napoli “Federico II”
Intervista a GIUSEPPE ACOCELLA
Ordinario Teoria generale del diritto, Università di Napoli “Federico II”
Etica e pubblica amministrazione: un rapporto sempre più delicato e un problema socialmente rilevante. Ne parliamo con Giuseppe Acocella, Ordinario di Teoria generale del diritto – Università di Napoli “Federico II”, Coordinatore Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla legalità – OSLE

 

 

Professore Acocella, qual è l’obiettivo dell’Osle?

L’Osservatorio sulla legalità è stato costituito nel 2013 a conclusione di una ricerca promossa dall’Istituto di Studi politici “S. Pio V” nella quale emergeva che il principio di legalità – fondamento dello Stato di diritto e dunque delle democrazie contemporanee – vive nei nostri tempi una condizione difficile che induce a definirla come legalità ambigua. Da questa amara constatazione nacque l’iniziativa di indagare questa categoria – che costituisce comunque l’architrave della civiltà giuridica contemporanea per la convivenza pubblica nelle società avanzate – con un Centro di ricerche (l’Osservatorio – OSLE) che documentasse e studiasse gli aspetti ed i problemi che accompagnano l’esperienza della legalità, la quale, pur sbandierata come un vessillo da esibire in tempi di crisi come unico presidio di democrazia e progresso, spesso viene deliberatamente fraintesa ed utilizzata a fini personali o di schieramento. La produzione annuale dei Materiali per una cultura della legalità presso un prestigioso editore risponde all’obiettivo di proseguire nell’indagine di carattere scientifico, il sito raccoglie indicazioni e attestazioni circa il fenomeno nei suoi aspetti storico-pratici, mentre gli interventi promossi in collaborazione con le istituzioni formative mirano a coltivare e valorizzare una cultura della legalità diffusa nei territori.

Il nostro Paese è ultimo nella classifica mondiale tanto per qualità che per i tempi della giustizia erogata: i dati sono davvero così catastrofici?

Lei fa riferimento ai dati elaborati dall’Ufficio statistico del Ministero della Giustizia sulla base del Rapporto Doing Business della Banca mondiale nonché del rapporto European judiacial systems del CEPEJ, che però, voglio ricordare, sono riferiti – il primo in modo prevalente – alla valutazione dell’efficienza giudiziaria in relazione a parametri di “libertà” economica. Ciò penalizza spesso sistemi che limitano la mano libera in economia per la salvaguardia di finalità sociali, premiando sistemi che semmai lasciano molta libertà economica agli investitori ma sopportando tassi di ingiustizia interna, economica e non, che risulterebbero intollerabili a paesi con maggiore equilibrio tra libertà di intrapresa e sistemi di giustizia sociale. Questo non toglie certamente che la lentezza del sistema giudiziario, in specie per le controversie di diritto civile, risulti indigesta per una sana vita economico-sociale nel nostro paese, così come l’incertezza in campo penale (l’obbligatorietà dell’azione penale si risolve spesso in totale discrezionalità su quali casi indagare e perseguire, creando un potere fuori controllo, come spesso viene denunciato, giacché il mito dell’efficienza non è sempre garanzia di imparzialità) generi di frequente un vulnus preoccupante al principio di legalità (come l’ OSLE, insieme ad altri, cerca di documentare nelle sue ricerche e come le istituzioni europee denunciano a spese dell’Italia). Quindi non vi è solo una questione di lentezza della giustizia, ma soprattutto un problema di qualità, e le due esigenze non vanno sempre di pari passo.

Etica e pubblica amministrazione: un rapporto sempre più delicato e un problema socialmente rilevante. Esiste una soluzione?

Questo tema è stato uno degli assi portanti della elaborazione scientifica portata avanti dall’OSLE in questo triennio con i suoi Materiali, i quali documentano uno sforzo rilevante in atto da parte nostra per esaminare criticamente il problema. La questione della legalità costituisce la prospettiva corretta per affrontare i nodi che ci sono dinanzi, dal momento che spesso la contestazione degli eccessi burocratici si trasforma in una inquietante (e spesso non disinteressata) rivendicazione di abolire i vincoli che la legalità impone all’amministrazione (con gli esiti corruttivi che tutti conosciamo). La soluzione, pertanto, non può consistere nel liquidare le misure che la legge prevede a tutela dei cittadini e del buon andamento della pubblica amministrazione, ma certamente l’eccesso di burocrazia accresce l’arbitrio dei poteri interni alla casta degli uffici e mina alle basi la fede nelle istituzioni stesse, favorendo a sua volta la corruzione. Il tema può dunque essere affrontato perfezionando le misure di controllo, come si sta facendo, ma anche ammodernando la macchina pubblica con una intensa formazione professionale ed etica dei pubblici funzionari.

Parliamo di food: anche in questo settore si annida la criminalità, a partire dagli appalti fino alle frodi alimentari passando per il mancato rispetto dei capitolati, la non conformità di alimenti seppure certificati e lo sfruttamento dei lavoratori. Da qui l’importanza di una filiera etica: rimarrà un’utopia?

Acutamente lei pone un tema che riguarda gli aspetti più intricati e meno superficiali della questione della comprensione della legalità per garantirne la salvaguardia. Infatti gli attentati alla salute attraverso le frodi alimentari non solo sono gravi (e sono in misura crescente fonte di allarme per la opinione pubblica) per i danni diretti dell’avvelenamento dei cibi e dell’ambiente, ma anche perché si allargano a macchia d’olio investendo più ambiti delittuosi e palesemente illegali: lo sfruttamento dei lavoratori nell’intero ciclo, dalla coltivazione alla trasformazione fino alla distribuzione dei prodotti; la corruzione degli apparati pubblici preposti alle autorizzazioni ed ai controlli; infine il delicato nodo degli appalti pubblici. L’OSLE ha rivolto la sua attenzione, attraverso i Materiali, anche alla questione degli appalti e delle relative responsabilità della pubblica amministrazione, perché ivi si annida un più raffinato livello di illegalità, spesso nascosta nelle pieghe di un formalismo legale piegato agli interessi degli stessi che – tradendo la fede pubblica – formulano i capitolati d’appalto con l’intento non di garantire la salute della comunità, come richiederebbe il loro dovere, ma di violare, a proprio profitto, le tutele attraverso lo strumento amministrativo messo invece a loro disposizione a nome e per conto di tutti.

I temi dell’integrità, della trasparenza e della legalità rappresentano uno snodo centrale per il sistema sanitario pubblico. Non solo per assicurare un buon uso delle risorse in un settore che vale quasi l’8% del Pil, ma anche perché la corruzione riduce l’accesso ai servizi e peggiora (a parità di altre condizioni) gli indicatori di salute, rappresentando la forma peggiore di inefficienza della P.A. Se potesse lei cosa farebbe per risolvere il problema?

Il sistema sanitario pubblico appare, come viene documentato con preoccupante continuità, un settore nel quale – per afflusso di risorse ingenti e per disparità consentite proprio dalla gestione da parte delle autonomie regionali – risultano più alte le occasioni di corruzione e più inquinate le procedure per l’assegnazione di ricchi appalti. A questo si aggiunga che – come accade in genere per la aggiudicazione delle opere pubbliche in base a bandi di gara – il livello di inefficienza generato dalla illegalità (che è sempre un gravame per il patrimonio pubblico e per cittadini contribuenti) spesso viene ulteriormente appesantito non solo dalle lungaggini burocratiche ma persino da quelle inevitabili nella proliferazione dei giudizi amministrativi. Alla giusta esigenza delle imprese (nel settore edilizio come in quello sanitario) di tutelarsi da possibili inganni ed illegalità nella aggiudicazione dei bandi, o di fronte agli aggravi delle modifiche in corso d’opera dei capitolati e delle modificazioni di spesa (talvolta giustificati proprio con i ribassi previsti nei bandi), la risposta della magistratura amministrativa genera la dilatazione degli spazi di intervento, con l’inevitabile conseguenza – grazie anche a tempi incoerenti con le necessità di realizzazione delle opere – di rendere la richiesta di legalità incompatibile con l’esigenza di efficienza, fino a rendere vana, e puramente formale, la stessa certezza del diritto, svincolata dai fini etici e sostanziali che la norma deve perseguire. Tutto ciò – traducendosi in costi maggiorati per un sistema sanitario già di per sé inevitabilmente costoso – genera una riduzione drastica della disponibilità pubblica a garantire la sanità comune e garantire a tutti l’accesso alle cure necessarie. Ciò provoca un vulnus alla democrazia, dal momento che una differenza di reddito può tradursi in una diseguale difficoltà di accesso alla fruizione del diritto alla salute, che è diritto individuale ma da fruirsi nelle condizioni pubbliche date e possibili nel momento storico richiesto.
Il principio di legalità entra dunque nel corpo vivo della democrazia e ne offre la più vera e sostanziale qualificazione per restituire significato allo Stato di diritto nell’età contemporanea.

 

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