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di ROSA MARIA AMOREVOLE
Consigliera di Parità effettiva per l’Emilia Romagna
di ROSA MARIA AMOREVOLE
Consigliera di Parità effettiva per l’Emilia Romagna
La crisi sembra aver aggravato i tradizionali problemi strutturali dell’occupazione femminile, soprattutto in relazione al tema della “qualità del lavoro”

 

Sono aumentati i fenomeni di segregazione verticale (la concentrazione delle donne nelle fasce più basse della gerarchia aziendale, la scarsa presenza di donne in posizione apicale) ed orizzontale (la concentrazione delle donne in settori e occupazioni con retribuzioni inferiori), gli impieghi non standard, i problemi di conciliazione tra lavoro e vita (al contempo l’offerta dei servizi cura si è contratta e/o ha innalzato i suoi costi, o semplicemente gli orari riescono sempre meno a rispondere a fabbisogni originati da ampie articolazioni dell’orario di lavoro sulla giornata) e si è acutizzato il sottoutilizzo del capitale umano.

È calata l’occupazione femminile qualificata e contemporaneamente è cresciuta quella non qualificata, il part-time involontario è in aumento (in mancanza di contratti a tempo pieno), così come il divario di genere, a causa del sottoutilizzo del capitale umano, che a livello italiano ha raggiunto il 40% per le laureate, contro il 31% dei colleghi maschi. Più donne che uomini svolgono un lavoro temporaneo, soprattutto in età giovanile: in Emilia Romagna, ad esempio, il 68,3% delle donne e il 53,8% degli uomini si colloca nella fascia di età 25-44 anni.

In un clima di incertezza trovano terreno fertile le discriminazioni. La paura di perdere il posto di lavoro spesso induce le donne a “sopportare” condizioni al limite, o al di fuori del diritto, non certo a costo zero in termini di benessere organizzativo ed individuale. Le discriminazioni oggi maggiormente denunciate sono quelle legate alla maternità e alle cure parentali, alla conciliazione famiglia/lavoro, al corretto riconoscimento delle competenze professionali, alle opportunità di avanzamento di carriera, agli stereotipi/vincoli all’accesso e/o alla permanenza nel lavoro, nell’assegnazione di premi di produzione, alle molestie, sia verbali che sessuali, al mobbing, che è indicatore di un clima profondamente cambiato. Questi fattori producono come conseguenza la disparità salariale. In Emilia Romagna, ad esempio, nel caso di lavoro non standard, il 56% delle donne non supera i 10mila euro di reddito, mentre nel lavoro dipendente mediamente le donne percepiscono il 21% in meno di salario e nel lavoro professionale la rilevazione attraverso le casse previdenziali degli ordini evidenzia un differenziale reddituale tra il 40 e il 60%. Inoltre, il “rischio” di maternità rappresenta un forte deterrente all’assunzione delle giovani, ma oltre i 45 anni le donne faticano a ricollocarsi in caso di licenziamento.

È nel rapporto con le imprese che va individuata la principale forma di contrasto alle discriminazioni di genere in ambito lavorativo. L’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro, attente alle differenze di genere e non solo, rappresentano una scelta etica ed un vantaggio economico. Valorizzazione delle risorse umane su basi di merito, il welfare aziendale e territoriale teso a favorire l’equilibrio tra lavoro e cura possono rappresentare strumenti utili, sia per l’incremento dell’occupazione femminile, sia per l’incremento dei risultati aziendali. Ed il miglioramento della condizione femminile porta anche al miglioramento complessivo per tutti, donne e uomini, grazie alla creazione di benessere organizzativo, così come i numerosi studi economici dimostrano ormai da diversi anni.

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